Due Famosi Flop di comunicazione da non imitare
Perché errare è umano, ma non esageriamo!
Tutti conosciamo il proverbio che recita “sbagliando si impara”, un adagio che in alcuni casi può rivelarsi rischioso perché contiene al suo interno una timida forma di auto giustificazione per i propri errori.
Attenzione, non voglio dire che non ci sia saggezza in quelle parole, ma solo che non è il caso di applicarlo alla lettera.
Nel campo della comunicazione aziendale un errore può davvero costare caro, specialmente nel mondo di Internet e dei social network, dove una notizia, specialmente se negativa, ottiene una eco incredibilmente vasta in un tempo rapidissimo, con le conseguenti ricadute negative per l’azienda.
Nel periodo in cui sto scrivendo questo libro, si è scatenato un putiferio relativo a Carpisa, marchio di proprietà della Kuvera spa, catena che vende borse, valigeria, accessori d’abbigliamento eccetera
L’azienda proponeva di acquistare dei prodotti ed utilizzare questi acquisti per accedere ad un “bonus”, consistente in uno stage professionale all’interno dell’azienda stessa.
Già così è un approccio sbagliato, perché assoggettare un acquisto per “vincere” uno stage, credo sia atteggiamento quanto meno discutibile.
Ma non è tutto :-(
Questo stage, paventato come una sorta di “premio”, sembra avesse parametri di retribuzione addirittura inferiori ad un qualsiasi stage standard.
Inutile dire che i social network si sono scatenati: attacchi, offese, battute eccetera eccetera fino ad arrivare a interventi di persone importanti che condannavano l’operato dell’azienda.
Vista la tematica, anche i sindacati dei lavoratori hanno espresso giudizi negativi sul metodo usato dall’azienda etc.. La Filcams-Cgil aveva definito “svilente e irrispettosa” la campagna indirizzata alle under 29 e su Twitter le persone avevano attaccato il concorso portando #Carpisa tra i trending topic.
Per contro c’è invece chi sosteneva che tutto questo fosse stato addirittura progettato e voluto dall’azienda stessa come una forma di marketing strategico particolarmente aggressivo, ma che avrebbe comunque prodotto risultati.
Volendo sposare questa fantasiosa ipotesi non c’è dubbio che l’azienda abbia avuto un picco di popolarità e diffusione mediatica per questa vicenda, ma se, come qualcuno ipotizza, tutto ciò è frutto di una suggestione “creativa” di un ufficio marketing… credo sia stata una delle peggiori decisioni della storia .
Carpisa si è ben presto scusata con un comunicato che recitava, tra l’altro:
“…la superficialità con la quale è stato affrontato un tema così delicato come quello del lavoro..”
sottolineando tuttavia che è
“…in completa antitesi con una realtà imprenditoriale fatta invece di occupazione ed opportunità offerte in particolare al mondo giovanile…“
Come la penso io
Cari Dirigenti di CarPisa, fa piacere che abbiate abbiate a cuore temi così delicati e che creiate occupazione, ma questo non cancella una cazzata gigantesca, nata da una superficialità che, proprio perché dite di essere “attenti” a questi temi, appare ancora più grave.
Un piccolo disastro mediatico facilmente evitabile.
Eppure, quasi nello stesso periodo, c’è chi è riuscito a fare di peggio!!
Ryanair, [sociallocker id=”13370″]nota compagnia aerea low cost su cui (quasi) tutti abbiamo viaggiato almeno una volta, decise, tout-court, di cancellare duemila voli, lasciando a terra 400.000 (quattrocentomila) clienti, senza nessuna informazione preventiva o sondaggio di opinione.
Un pandemonio che portò a richieste di rimborso per molti milioni di euro, oltre a sgradevoli implicazioni mediatiche, stigmatizzate da un intervento del Governo, denunciando:
“Gravi disagi, vi sia rispetto assoluto dei diritti dei passeggeri”
Ryanair, come per CarPisa, la compagnia si è “affrettata” a comunicare che i voli sono soppressi solo fino ad Ottobre di quel periodo.
«Oltre il 98 per cento dei nostri clienti non sarà interessato dalle cancellazioni», spiega O’Leary (AD Ryanair) che ammette la “cattiva gestione” della vicenda e si scusa “senza riserve” con i clienti i cui viaggi sono cancellati».
Come dire:
“ci dispiace per il disagio, ma solo il 2% si trova nei casini per le nostre decisioni errate”
Caro O’Leary, ma a forza di fare l’eccentrico hai perso di vista il mondo reale?
Ma a forza di pensare alle nuvole dimentichi che i tuoi clienti sono con i piedi piantati per terra e hanno uno smartphone in mano varie ore al giorno?
Ecco a cosa porta una azione di questo genere
34.000 recensioni negative sulla pagina Facebook dell’azienda!
Con un feedback crollato a 1,4 che è costato alla compagnia un tonfo memorabile anche sulle borse internazionali.
Roba da rabbrividire!
Ma è così difficile usare il buon senso? (rieccolo…)
Mi fermo qui, ma credo che il senso sia chiaro.
Tornando al nostro proverbio, converrai con me che questo genere di errori si paga sicuramente a caro prezzo quindi, se proprio vogliamo proseguire con i detti popolari, io sicuramente preferisco quello che recita:
“prevenire è meglio che curare”
a cui però direi di aggiungere il partenopeo
“nessuno nasce imparato”.
Queste due affermazioni sono quelle che hanno generato il titolo del capitolo che stai leggendo, ovvero quanto sia necessario avere preparazione e competenza per affrontare i temi di comunicazione aziendale, perché rappresenta probabilmente l’unica arma decente per evitare di incappare in errori grossolani, macroscopici e potenzialmente devastanti .
Come prolungamento del concetto, mi riallaccio al detto partenopeo sopra citato, che ci ricorda che le necessarie competenze non sempre è possibile averle all’interno dell’azienda, e tanto meno si può pensare che l’imprenditore o l’amministratore delegato siano in grado di sopperire a tale mancanza.
Essere un imprenditore “che si è fatto da zero” o che “opera da trent’anni nel settore” non sono elementi sufficienti a trasformare un imprenditore, per quanto valido, in un consulente di comunicazione.
La strada è affidarsi a un professionista o un team di professionisti che siano in grado di tradurre le nostre esigenze e quelle del nostro pubblico in un linguaggio che renda possibile la comunicazione tra i due soggetti.
È altresì necessario comprendere che la comunicazione, la pubblicità e il marketing non sono mai da considerarsi contenitori stagni e indipendenti, ma aree compenetranti in misura variabile, la cui alchimia determinerà il successo o il fallimento della comunicazione.
Insomma, immagina un piatto di spaghetti conditi con aglio olio e peperoncino: si tratta di un piatto semplice, ma estremamente godibile e facile da preparare.
Adesso immagina di dover mangiare i singoli componenti di questo piatto, disposti singolarmente:
-
mangia spaghetti bolliti senza condimento
-
bevi tre cucchiai di olio
-
deglutisci 3 cucchiai colmi di sale
-
mastica due spicchi di aglio
-
inghiotti una manciata di peperoncino piccante.
Stessi componenti, risultato diverso e sicuramente non appagante.
Il passaggio precedente è molto importante e ho avuto modo di constatarlo presso moltissime aziende, nelle quali mi sono ritrovato davanti un consulente marketing che era anche il grafico pubblicitario, l’ideatore delle campagne, il social media manager e magari, perché no, anche l’addetto ai comunicati stampa.
Ho avuto modo di dialogare con aziende che investono somme ingenti in sponsorizzazioni importanti, magari usando agenzie di livello, ma che poi all’interno dell’azienda non avessero un referente (competente) che potesse “tirare le fila” di tutto il lavoro fatto.
L’importante è che “piaccia la capo”, come spiegato in altri articoli
Il problema è sempre lo stesso: è necessario un approccio antitetico alle problematiche della comunicazione (ma anche a quelle del marketing e della promozione…), dove il pubblico, il cliente, il fornitore, o comunque la tua audience diviene la vera stella, il vero protagonista.
Tutto il resto sono comparse, anche l’azienda stessa.
Le aziende più coraggiose che hanno avuto il coraggio e la lungimiranza di fare questo passaggio, sono quelle che hanno ottenuto i risultati migliori, aumentando i fatturati, diminuendo le problematiche e soprattutto usufruendo di un tesoro inestimabile che risponde al nome del passaparola positivo: sono i clienti stessi che diventano il veicolo pubblicitario dell’azienda.
Niente di difficile, solo cose semplici, le stesse che, nel 90% dei casi, determinano il fallimento o il successo di una campagna di comunicazione.
Ecco perché hai bisogno di un consulente e, se la tua strategia aziendale lo richiede, anche più di uno.
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