Formare e coinvolgere il personale interno per migliorare i risultati
La formazione continua e il segreto dell'Open Book Management migliorano il futuro delle aziende
Sì, lo so, fare formazione costa denaro, toglie risorse operative all’azienda da destinarsi a tale scopo, richiede una programmazione adeguata, un controllo dei risultati e via di seguito…
Le Aziende, anche in Italia, in realtà fanno spesso ricorso alla formazione interna , ma raramente in ambito comunicazione.
Se chiediamo a 100 imprenditori di predisporre un piano di formazione interna sui temi della comunicazione, con ogni probabilità la maggioranza risponderà citando le motivazioni del primo paragrafo, anzi, alcuni di loro (fortunatamente una microscopica minoranza…) avranno giudizi ben più severi e lapidari sull’argomento.
on posso certamente fare un trattato su questo argomento, anche perché ci sono testi strutturati scritti da persone più preparate di me, tuttavia vorrei dare il mio piccolo contributo, nello stile che mi contraddistingue: essere concreti.
Per la stragrande maggioranza degli imprenditori la concretezza è rappresentata dai risultati;
Che si parli del miglioramento delle capacità produttive o dell’incremento dei fatturati poco importa, basta che ci sia il segno più davanti a quel report aziendale.
Ecco che ogni forma di investimento interno viene visto molto spesso soltanto come un costo e non la preparazione di un qualcosa che porterà molti segni “+” ai report futuri.
La formazione interna non è soltanto “insegnare qualcosa a qualcuno”, ma rappresenta un modo per coinvolgere in modo attivo e positivo il personale dell’azienda.
Formare il personale interno sui temi della comunicazione ha rappresentato, per molte aziende internazionali, una risorsa di inestimabile valore.
Questo non significa fare formazione a pioggia, ma una oculata selezione di elementi potenzialmente elevabili al grado di consulenti interni.
Persone con talenti sono presenti in qualsiasi azienda, si tratta solo di trovarli, perché non provarci?
Parliamo di persone che sono già all’interno della nostra azienda, che mantengono le loro famiglie grazie allo stipendio che percepiscono, quindi sono sicuramente già enormemente coinvolte in ciò che l’azienda fa o deciderà di fare.
Formare queste persone può regalare una ventata di idee fresche, basate sulla concretezza di chi “vive” l’azienda tutti i giorni (nel bene e nel male).
Un consulente esterno deve basarsi su numeri, analisi, indagini conoscitive e molto altro che, spesso, sono forniti da persone che non hanno una esatta cognizione di come questi dati devono essere utilizzati.
Nel capitolo precedente vi ho parlato della possibilità di una scelta tra un singolo consulente o un team di professionisti, in realtà esiste una terza opzione, un mix ibrido formato da un consulente esterno, professionale e preparato, che si avvalga di personale formato dall’azienda: questo è il team più potente in assoluto.
Se da un lato il consulente può definire le strategie di sviluppo, modalità applicative, misurazione dei risultati etc… il personale interno formato dall’azienda sarà in grado di offrire risposte di carattere informativo in tempi straordinariamente ridotti rispetto ad un qualsiasi consulente, benché preparato, che debba andare ad estrapolare queste risposte una ad una.
Già il solo risparmio di tempo e risorse che questo passaggio comporta, se tradotto in termini economici, spesso va a rappresentare una porzione importante dell’investimento formativo.
Negli ultimi anni stiamo assistendo, fortunatamente, ad una timida inversione di tendenza in questo senso, dove si tende sempre più a coinvolgere il personale aziendale in attività di marketing, promozione e pubblicità.
Un esempio pratico e conosciuto?
Poltrone e Sofà, passato dall’uso del testimonial “classico”, con la formosa Sabrina Ferilli che declamava un slogan ammiccante, alla creazione di spot che hanno come protagonisti i dipendenti dell’azienda.
Nota di gossip: la bella Sabrina ha chiesto un risarcimento di 5 milioni di euro per “sovraesposizione e illegittimo sfruttamento dell’immagine dell’artista”.
Lo spot che la vede protagonista, secondo gli accordi avrebbe dovuto andare in onda al massimo per 90 giorni non consecutivi di uscite radio, per evitare che l’attrice venisse legata troppo solo a quel marchio. Peccato che così non è stato. Da qui la denuncia.
Tornando alle cose serie, non sto dicendo di trasformare in attori tutti i dipendenti dell’azienda, ma se un tappezziere fa spot nazionali di successo e “piace alla gente”, perchè un altro dipendente , se adeguatamente formato, non potrebbe aiutare l’azienda a trovare nuovi messaggi e strategie?
Questo capitolo iniziava con un sottotitolo “La formazione continua e il segreto dell’Open Book Management migliorano il futuro delle aziende”, ed è proprio quello che ho cercato di spiegare in queste poche righe.
Un capitolo volutamente breve, che non può e non deve approfondire l’argomento più di tanto, perché sono troppe le variabili in gioco e rischierei di dare informazioni errate se non addirittura fuorvianti, ma resta il concetto di base: la formazione aziendale è ancora oggi un elemento sottostimato da una rilevante maggioranza delle aziende italiane.
In molti paesi europei, per non parlare degli Stati Uniti, questi passaggi non solo sono stati già assimilati, ma si lavora in maniera costante per farli progredire velocemente mediante nuove tecniche formative.
Siamo quindi in ritardo?
Sicuramente si, ma questo non significa che possiamo recuperare terreno velocemente, si tratta solo di prendere coscienza di questa tematica e porvi rimedio il prima possibile perchè, per finire con un altro detto popolare “non è mai troppo tardi…”
L’ultimo passaggio di questo capitolo accenna alla trasparenza citata nel titolo, che si traduce in un modello di comunicazione interna che esiste da decenni, ma di cui raramente sento parlare.
Si parla molto di Industri 4.0, TQM, ISO 900XX, Miglioramento continuo, Lean, SixSigma, Benchmarking e molto altro. (Se sei interessato a questi argomenti ti suggerisco di visitare Crossnova, sono molto bravi)
Molto meno, anzi pochissimo, si parla di Open-Book Management, un approccio di gestione in cui i dipendenti sono dotati di informazioni finanziarie aziendali per consentire loro di prendere decisioni.
L’Open-Book Management, usato da molte società quotate in borsa, rappresenta la svolta decisiva per ottenere un impegno reale nell’impresa da parte di tutto il personale, trasformando i “dipendenti” in “partner”.
Gli studi dimostrano che i lavoratori (dal lavapiatti al quadro) sono più motivati e produttivi quando vengono trattati come partner commerciali, piuttosto che dipendenti.
Insomma, nessuna rivoluzione o inutile complessità, perchè si basa su regole di buon senso e di assoluta trasparenza: il difficile sta nel metterle in pratica nel modo giusto.
La premessa da cui l’open-Book Management parte è semplice: se uno non dispone (o non è in grado d’interpretare) i “numeri critici” necessari per valutare come sta andando lui stesso, la sua unità, l’azienda, non ha una chiara visione di che cosa ci si attende da lui e di come può contribuire al raggiungimento dei traguardi, e, se quanto fa non viene riconosciuto e non gli porta vantaggi concreti, non potrà mai veramente impegnarsi e migliorare.
Ho detto in vari articoli (e lo ridirò in futuro) che la tecnica dell’ascolto attivo è fondamentale per generare una relazione produttiva ed efficace con il nostro pubblico di riferimento, ed è quindi metodo altrettanto valido con i dipendenti dell’azienda stessa.
L’open book management è uno step addizionale e, aggiungerei, virtuoso, che mette sullo stesso piano l’imprenditore, la dirigenza, manager, capi settore o reparto e così via fino all’ultimo impiegato, indipendentemente dal livello di retribuzione o di compiti assegnati.
È una sfida, sicuramente, ma le aziende che ne hanno fatto un loro cavallo di battaglia hanno scoperto in breve tempo che è molto più facile coinvolgere ed essere sostenuti dal proprio personale interno in questo modo che porre delle barriere, ideologiche o burocratiche.
Con l’adozione dell’open book management si possono ottenere risultati davvero straordinari in termini di gestione, ma anche di soddisfazione reciproca tra le dirigenze e il personale tutto.
Se il personale aziendale sarà sempre costantemente informato attraverso una “comunicazione vera”, che gli mostrerà l’esatto andamento dell’azienda in ogni suo aspetto, non c’è dubbio che questo diventerà un elemento di sollecitazione a fare meglio, per tutti.
È altrettanto ovvio che non sia una soluzione applicabile universalmente, e nemmeno risolutiva , ma da valutare con estrema attenzione, perché, come nel caso dell’ingresso dell’azienda nella comunicazione sui social network, si tratta di un percorso che può procedere soltanto in avanti, senza mai indietreggiare, e soprattutto non c’è possibilità di cambiare le regole del gioco quando questo sia iniziato.
Una “apertura interna” a 360°
Per molti imprenditori italiani questo tipo di approccio rappresenta quasi una follia, e il microscopico numero delle aziende che lo utilizzano è lì a dimostrare questo assunto.
Ci sono delle valide eccezioni, alcune delle quali conosco personalmente, e quindi posso sicuramente dire che i benefici sono sempre largamente superiori ai potenziali rischi, anzi, in verità, i rischi sono, numeri alla mano, pressoché pari a zero.
La comunicazione interna è uno degli aspetti più importanti in ogni strategia di sviluppo aziendale, eppure, ancora oggi, è mia personalissima sensazione che il dato oggettivo sia colpevolmente sottostimato e non adeguatamente affrontato, così come non vi sia, da parte di molte aziende italiane, la necessaria attenzione al coinvolgimento della formazione nei temi che stiamo trattando.
Questa situazione, di per sé negativa, può costituire un enorme vantaggio competitivo e di successo per le aziende virtuose che riterranno di porsi all’avanguardia.